Sarp esplode di gelosia: la rabbia contro Bahar
ESPLOSIONE DI GELOSIA E L’OMBRA DI UN SEGRETO: LA VITA DI SARP SI SGRETOLA TRA AFFETTI PERDUTI E TERRIBILI SOSPETTI
La quiete fittizia della casa si frantumò in mille schegge al nome di un uomo, un nome pronunciato con l’innocente familiarità dei bambini: Arif. L’arrivo di Bahar in un clima che pretendeva una normalità ormai impossibile era stato accolto da domande semplici, quelle sui nonni, su Enver, su legami ancora saldi e riconosciuti. Ma fu la confessione di aver chiamato Arif, il “proprietario di casa”, a far calare su Sarp un velo denso e amaro. Il turbamento iniziale divenne irritazione sorda quando Doruk e Nissan, con la trasparenza crudele della loro età, dipinsero il rivale non come un semplice affittuario, ma come una figura presente, quasi paterna: l’uomo della macchina che li accompagnava e andava a prenderli a scuola. Ogni singola parola dei figli divenne una pugnalata, trasformando un banale servizio di cortesia in un affronto insopportabile. Sarp vide nello sguardo distratto di Bahar, impegnata a tagliare le verdure, una distanza abissale, un rifiuto totale di ogni suo diritto. Il suo bisogno di capire, di affermare il suo ruolo, si scontrò contro la glaciale indifferenza di lei. “Perché proprio lui? Perché hai sentito il bisogno di chiamarlo?”, le chiese, esigendo una spiegazione che andasse oltre la logica. La risposta di Bahar fu la dinamite che fece esplodere la sua rabbia repressa: “Non è affar tuo… come non l’ha riguardata la storia di Piril e dei suoi figli. Allo stesso modo Arif non lo riguarda”. La menzione di Piril, l’unica verità che Sarp credeva di controllare, usata come scudo, fece svanire ogni controllo. Il pugno sbattuto sul tavolo non fu solo un gesto di furore, ma il suono della sua vita che tornava in pezzi, lasciando Bahar sola con il suo dolore e un amore tradito che lei non era più disposta a giustificare.
La furia incontrollata per la gelosia si trasformò in una calma più letale quando Sarp si ritrovò faccia a faccia con la moglie nel santuario fragile della loro camera. Piril, consumata dal nervosismo e dal timore che Bahar avesse finalmente rivelato il suo inganno, era una figura tesa e tremante. Sarp, rifiutando di lasciare la stanza come aveva proposto lei, la imprigionò nel loro silenzio. Il vero motivo della sua tensione non era più l’uomo che aveva rubato il posto di Sarp nella vita di Bahar, ma il segreto che Piril gli aveva nascosto, un segreto di vita e morte legato al rapimento sventato. Con una precisione quasi chirurgica, Sarp la incalzò: “Come facevi a sapere che Bahar sarebbe stata rapita?”. La domanda, inaspettata, la spiazzò, costringendola a un’improvvisazione febbrile e disordinata. Parlò di una chiamata anonima, di un uomo che lavorava per Nezir, di soldi pagati in cambio di informazioni: una costruzione macchinosa che doveva coprire la verità, ovvero che era stata Shirin, informata da Suat, a contattarla. Ma Sarp non era un uomo facile da ingannare. La sua mente, affinata da anni di pericoli, colse l’anello debole della catena. La sua accusa fu diretta, devastante: “Solo io conosco quel numero. Oltre a suo padre… mi stai mentendo e mi stai nascondendo qualcosa”. Il tono non ammetteva repliche, trasformando Piril da sua complice nella sopravvivenza a imputata sul banco degli accusati, intrappolata tra il suo panico e la necessità di preservare il suo matrimonio attraverso una nuova, disperata menzogna.
Mentre Piril insisteva ostinatamente sulla sua versione, Sarp demolì la sua difesa con la logica implacabile della realtà: una telefonata anonima non sarebbe mai bastata a innescare la sua azione disperata quella notte. Non se non fosse stata sicura al cento per cento. L’immagine di Piril, entrata in camera in preda al panico, determinata, con gli occhi pieni di terrore e la voce affannata, riaffiorò nella mente di Sarp come un flash implacabile della verità. Quella notte lei sapeva, non ipotizzava. Lei era la fonte, o aveva una fonte così sicura da superare ogni ragionevole dubbio. “Se non mi fossi fidato della fonte non l’avrei mai ascoltata”, dichiarò Sarp, avvicinandosi, imponendo la sua vicinanza fisica come un imperativo. “Guardami negli occhi e dimmi la verità”. La richiesta non era una supplica, ma un ordine, l’ultima occasione per la lealtà. Dopo un istante che per Piril dovette sembrare un’eternità, la donna cedette, ma non alla verità completa. Con la voce ridotta a un filo tremante, pronunciò il nome di un altro uomo, un nome destinato a creare scompiglio e a deviare le indagini di Sarp: “È stato Munir a informarmi”. L’idea era geniale nella sua disperazione: Munir, un uomo di fiducia, che non era riuscito a rintracciare Sarp e aveva, per questo, scelto di contattare la moglie come ponte. Una spiegazione che era un insulto alla loro intelligenza e al protocollo, un gesto assurdo che Sarp immediatamente percepì come tale. L’uomo scosse la testa, conscio che la sua vita era ormai avvolta in strati su strati di menzogne, e il sospetto, ormai radicato, continuava a crescere come un cancro, promettendo un’inevitabile distruzione.
Lontano dalle recriminazioni familiari, l’ombra del dubbio si allungava negli ambienti più oscuri. Munir, l’uomo ora al centro del complotto involontario di Piril, arrivò da Suat, l’uomo che orchestrava il vero potere e i veri segreti. L’incontro non fu amichevole; Munir riferì immediatamente della fredda accoglienza di Sarp dopo averlo visto con Piril. Spiegò la versione ufficiale, quella che giustificava la sua presenza per la minaccia di Nezir e il bisogno di protezione, una versione che Sarp aveva “accettato” solo per la gravità della situazione. Ma lo sguardo indagatore di Suat, il suo silenzio sospettoso, suggeriva che anche nel mondo criminale, le facili accettazioni sono merce rara. Suat chiese, con una calma forzata, se Munir credesse davvero che Sarp avesse ingoiato la pillola così facilmente. Il turbamento di Munir divenne palpabile, e dopo un’esitazione che rivelava il peso di un segreto bruciante, egli riversò la verità a Suat, la verità che aveva origini da Shirin e che ora svelava l’inganno di Piril: “È stata Piril a dire a Sarp del rapimento di Bahar e dei bambini, non Shirin”. La rivelazione colpì Suat con la forza di un’epifania agghiacciante. Irrigidito, stupito, espresse il suo totale scetticismo: Piril era rinchiusa, isolata, senza contatti con l’esterno. La sua incredulità era ferma, eppure Munir insisteva, certo di ciò che aveva udito. Suat si alzò lentamente, la sua mente già in moto per decifrare l’ennesimo tradimento.
La figura di Suat, immobile alla finestra, rifletteva la gravità della situazione. Il silenzio non era vuoto, ma pregno di analisi, un calcolo freddo su chi e come Piril avesse potuto ottenere quell’informazione cruciale. L’idea che fosse stata lei la vera salvatrice di Bahar, e non Shirin, ribaltava completamente la sua percezione degli eventi e l’affidabilità di coloro che lo circondavano. Piril, la moglie di Sarp, era un pezzo molto più pericoloso sulla scacchiera di quanto avesse mai immaginato. La logica gli imponeva di scartare ogni ipotesi di coincidenza o di errore. C’era un contatto, una falla nel suo sistema di sicurezza, un traditore che aveva informato Piril in violazione diretta dei suoi ordini. La sua voce, quando ruppe il silenzio, era ferma, risoluta, un monito al pericolo imminente. L’ordine impartito a Munir fu un’azione immediata di contenimento e indagine: “Interroga tutti gli uomini presenti nell’hotel quella notte. Voglio sapere se Piril abbia parlato con qualcuno, se abbia avuto contatti con chi conosceva la situazione”. Munir, annuendo, si preparò a eseguire l’incarico, la consapevolezza del rischio che ora correva anche lui. Suat, rimanendo alla finestra con uno sguardo cupo e sospettoso, aveva un unico, inesorabile intento: scoprire la talpa, l’origine del tradimento che aveva protetto Bahar e, forse, scoprire la vera portata dell’inganno di Piril. La sua ombra, immobile, preannunciava che il gioco del gatto col topo era appena diventato mortale, e che la donna di Sarp, nella sua disperata mossa per proteggere se stessa, aveva appena messo a rischio la vita di tutti.