La Promessa 30 NOVEMBRE – Cruz giura di essere innocente, ma Burdina sospetta la verità nascosta

Nella tenuta della Promessa la notte pesa come una condanna. Tutto inizia con un gesto silenzioso, quasi insignificante: un vaso spostato, della terra smossa, un oggetto nascosto in fretta come un peccato che brucia tra le dita. Quando il sergente Burdina annuncia di aver trovato la pistola con cui è stata ferita Jana, sepolta proprio lì, in mezzo al salone, il tempo si spezza in due. Non è un’arma qualsiasi: è la pistola del marchese, simbolo di potere e di onore, trasformata ora in prova di colpa. Chi l’ha messa in quel vaso, e perché, diventa la domanda che serpeggia tra le mura come un veleno. Cruz alza subito la voce, fredda, tagliente, quasi sprezzante: giura di essere innocente, ripete che si tratta di una messinscena per incastrarla. Ma sotto il ghiaccio del suo sguardo si vede il tremore di una paura antica. Quando Manuel entra nella stanza, però, non è il figlio devoto che lei si aspetta: è un uomo distrutto, gli occhi rossi, la voce spezzata. “Non sono qui per consolarti, voglio una spiegazione”, le dice. E in quella frase si consuma il primo tradimento: quello del sangue, quello dell’amore tra madre e figlio che si frantuma davanti al sospetto più terribile. Lui le rinfaccia gli anni di umiliazioni, di odio gettato addosso a Jana, la donna che ora porta in grembo il loro futuro. Lei implora, supplica, quasi urla che mai avrebbe voluto farle del male, che è pur sempre la madre del bambino di suo figlio. Ma le sue parole suonano vuote, rimbombano nella stanza come una preghiera troppo tardiva.

Mentre la tempesta scuote il salone, nella stanza di Jana il tempo sembra fermarsi in un’agonia lenta. Il suo corpo è immobile, il respiro corto, il viso bagnato di sudore freddo. Manuel è seduto accanto al letto, incapace di staccarsi anche solo per un istante. Non dorme, non mangia, non esiste più nulla al di fuori di quella mano che stringe con disperazione, come se fosse l’ultimo filo che lo tiene in vita. Il medico parla con voce bassa, grave: il cuore è debole, la respirazione affannosa, la situazione è critica per lei e per il bambino. “Adesso può salvarla solo Dio”, sussurra, e quelle parole cadono nella stanza come pietre in un pozzo senz’acqua. Fuori, nei corridoi, il terrore corre di bocca in bocca: la pistola nel vaso, la furia di Cruz, gli sguardi sfuggenti. Teresa ricorda ad alta voce di aver visto la marchesa perdere completamente il controllo proprio vicino a quel vaso, urlarle contro solo perché stava annaffiando una pianta. Una pianta, un vaso, quel vaso. Improvvisamente il sospetto prende forma, concreto, quasi tangibile. Le domestiche si scambiano occhiate cariche di paura: se l’assassina fosse davvero in casa, se fosse proprio lei, la padrona, la donna che comanda tutti? Nel frattempo, nel silenzio rotto solo dal ticchettio di un orologio, Manuel sussurra a Jana i loro sogni di fuga in Italia, di una casa con i tetti alti e un giardino pieno di statue. Le parla come se fosse un addio che non vuole pronunciare, come se ogni parola potesse tenerla ancorata a questa vita un secondo in più.

Mentre l’amore combatte contro la morte a pochi metri di distanza, al piano inferiore esplode un’altra guerra, più sporca, fatta di rancori antichi e crudeltà quotidiane. Il marchese riceve una lettera dal servizio: è una denuncia collettiva contro Petra, accusata di abusare del suo ruolo, di avvelenare l’aria della casa con minacce, insulti, durezza spietata, soprattutto verso Jana. Quando viene chiamata a spiegarsi, Petra esplode in un furore rabbioso, nega, urla, attacca, ma alla fine lascia uscire la verità più velenosa: sì, tutto il suo odio era rivolto a Jana. Il marchese la fulmina con lo sguardo: “Jana è in fin di vita e voi l’avete schiacciata per mesi con il vostro disprezzo.” Non serve alzare la voce, perché ogni sillaba è una lama. Più tardi, ancora più in basso, tra le pareti fredde della servitù, Petra affronta Santos, convinta che sia stato lui a guidare la rivolta. Ma il ragazzo, finalmente libero dalla paura, le dice ciò che lei ha sempre temuto: “L’ho fatto perché non potevo più vederti trattare così Jana. Tu non sei mia madre e non lo sarai mai.” È una condanna senza possibilità d’appello. Petra resta immobile, il volto incrinato, come un vetro che si frantuma senza fare rumore. Sopra di loro, intanto, Ramona entra nella stanza di Jana con ramoscelli di rosmarino e alloro, sussurrando antiche preghiere: Manuel non ride, non giudica, si aggrappa persino alla superstizione, perché quando ami davvero accetti qualsiasi cosa pur di trattenere in vita chi ami.

Il sergente Burdina, ombra lucida della giustizia, continua a muoversi nei corridoi come un presagio. Interroga, osserva, collega dettagli che agli altri sfuggono. Il suo sguardo torna sempre allo stesso nome: Cruz. La marchesa, rinchiusa nella sua stanza come un animale braccato, cammina avanti e indietro, stringendo le mani fino a ferirsi. Quando lui bussa, sa già che non è venuto per offrirle conforto. La accusa di contraddizioni, le ricorda la scena con Teresa, la sua presenza inspiegabile vicino a quel vaso maledetto. “Dire ‘sono innocente’ non basta più”, le dice con freddezza. E quando aggiunge che o qualcuno ha messo lì la pistola per incastrarla, oppure lei stava cercando di liberarsene, qualcosa si incrina nel volto di Cruz. Per un istante, un solo istante, la maschera di ferro cade e si vede la paura nuda. Nel salone, poco dopo, il marchese ascolta il racconto di Teresa: la vede chiaramente, la sua domestica, pallida, tremante, mentre conferma che sì, stava annaffiando proprio quel vaso. Il gelo cala nella stanza: non è più solo sospetto, ma un indizio concreto, abbastanza forte da spezzare un matrimonio, una famiglia, un titolo nobiliare. Quando la situazione di Jana peggiora ancora, quando il medico parla di “prepararsi al peggio”, la Promessa sembra diventare una tomba dove si seppelliscono verità e affetti.

Il culmine arriva come un boato in una notte senza stelle. Nel salone, davanti a tutti, Burdina pronuncia la frase che nessuno avrebbe avuto il coraggio di dire ad alta voce: “Marchesa Cruz Luján, devo accompagnarla al comando. È ufficiale.” Lei, che non ha mai ceduto a una lacrima, si spezza improvvisamente. Urla, si dibatte, supplica di vedere Manuel, di parlare con suo figlio, di gridargli ancora una volta che è innocente. Ma in quel momento Manuel non la sente, non può sentirla: tutto il suo mondo è rinchiuso nella stanza dove Jana lotta per respirare. La marchesa viene trascinata via mentre il suo dolore, per la prima volta autentico, esplode come un grido materno che nessuno vuole ascoltare. E proprio allora, quando la speranza è ormai un ricordo lontano, un tremito impercettibile corre lungo le dita di Jana. Samuel sussurra il nome di Manuel, il quale alza la testa incredulo: il respiro di lei è un po’ più profondo, le labbra si muovono, una sillaba scivola nell’aria, fragile ma potente come un miracolo. “Manu.” È abbastanza perché il mondo intero cambi colore. Manuel crolla sul suo petto in lacrime, la chiama amore, la implora di restare. Fuori, l’alba comincia a rischiarare la tenuta. Cruz è già in viaggio verso il comando, il suo destino sospeso su un filo. Perché ora che Jana si è svegliata, la sua voce sarà giudice e carnefice insieme: quando racconterà ciò che è davvero accaduto, la verità cadrà sul palazzo come una tempesta. Vuoi che immaginiamo insieme cosa dirà Jana al suo risveglio e quale sarà il destino finale della marchesa Cruz in un ipotetico episodio 553 riscritto su misura per te?